Recensioni

Recensioni dei migliori locali a Milano

Chi è tentato di pensare che Milano sia una città sbrigativa ed emotivamente glaciale dovrebbe fare un salto al Madama di via Benaco 1, a pochi minuti dalla stazione MM3 Lodi: una location polivalente che è al tempo stesso

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ostello (con camere condivise oppure doppie con bagno privato), spazio culturale e ristorante. Noi abbiamo provato quest’ultimo per un brunch domenicale in occasione di un compleanno. La scelta si è rivelata azzeccata: un edificio di fine Ottocento con grandi vetrate dalle splendide inferriate Liberty racchiude uno spazio moderno con citazioni di design e una ricerca estetica che si traduce in un ambiente informale, fresco e accogliente. La cucina propone piatti casalinghi e molto curati che cambiano a seconda del giorno e dell’ora: dalla classica English breakfast con salsiccia, fagioli, patate, uova strapazzate e pancetta agli hamburger, dal piatto vegan (ricco, vario e coloratissimo) al salmone affumicato con patate arrosto. Ogni pietanza è accompagnata, a scelta, con una tazza di caffè lungo o un succo di frutta ma è ovviamente possibile ordinare una bottiglia di vino o altro. Il personale è gentilissimo e i prezzi decisamente convenienti. Collocato sopra Ohibò, uno dei music club più interessanti di Milano, il Madama hostel+ bistrot è un’alternativa frizzante ai soliti ritrovi: da provare.

Quanto è lecito attendere per un’ottima pizza? C’è chi non aspetterebbe un minuto, c’è chi è disposto a mettere in conto più di mezz’ora. Nel caso della pizzeria Gino Sorbillo – Lievito madre al Duomo, sita in Largo Corsia dei Servi 11, appena dietro Corso Vittorio Emanuele, la tempistica è molto variabile, quello che resta invariato è la coda che si forma

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ineluttabilmente davanti al locale, uno dei più controversi e hot di tutta Milano. Noi abbiamo atteso per venti minuti scarsi, pioveva di brutto ed è stato molto divertente, perché non siamo di quelli che si lamentano per un po’ di attesa, se l’attesa vale. Il locale è grande, disposto su due piani a vista. L’interior déco è in linea con il concetto di pizzeria: semplice ma accogliente. Quel che non è accogliente è la confusione che regna

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sovrana, del resto inevitabile visto il continuo viavai di clienti. La pizza, al contrario, è l’esemplare finora assaggiato che più si avvicina all’indiscussa regina delle pizze del sud (per la “scuola del nord” a un prossimo post), almeno secondo la nostra esperienza: quella gustata in pieno centro di Salerno qualche anno fa (siamo consapevoli delle implicazioni campanilistiche; non ce ne vogliate). Quel che colpisce, oltre alle dimensioni ragguardevoli, è la qualità di ogni singolo ingrediente, dalla mozzarella alla più minuscola delle olive. Che scegliate una Bufala classica

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oppure una più complessa pizza con bufala, scamorza, pomodorini, acciughe, olive e capperi, sappiate che nessuno degli ingredienti che compare nel vostro piatto è messo lì a caso. Slow Food e compagni non mentono. Ogni dettaglio concorre a renderla una pizza indimenticabile. Ricca. Golosa. Detto questo: buona scelta di birre non standard e buona carta dei vini. L’unico aspetto che lascia vagamente perplessi – ma non più di tanto, considerato che siamo nel cuore di Milano e che i tempi sono duri per tutti – è il servizio un po’ carente dal punto di vista umano (non che il cameriere sia tenuto a chiedervi come state, ma si nota, oltre a una certa frettolosità peraltro comprensibile, relativamente poca attenzione concessa al benessere generale del cliente. Insomma la pizza è eccellente, ma il servizio può migliorare). Da provare!

 

Ci siamo capitati senza premeditazione, in una sera di pioggia mezz’ora prima di un film. Il ristorante La Colubrina sorge in Via Felice Casati 5, perpendicolare di viale Tunisia. Siamo stati attirati dal menu esposto, che accanto alla normale selezione di piatti e pizze presentava anche un menu bio/vegan a base di ricette rivisitate in chiave biologica. Contravvenendo a

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un’innata diffidenza nei confronti di qualsiasi tentativo di appiattire una nobile tradizione in nome del politicamente corretto, siamo entrati con poche aspettative e molta curiosità. L’interno è raccolto e curato, in elegante penombra. Sul bancone e all’entrata si viene accolti da un’appetitosa gamma di prodotti da forno biologici e artigianali tra brioches, croissant, muffin e diverse tipologie di torte e pasticcini. Tutti dall’aspetto assai promettente. Il ristorante è diviso in due salette, l’ultima delle quali presenta un notevole camino dall’alta cornice lavorata. I tavoli sono piccoli ma ben distanziati e apparecchiati con gusto. Abbiamo iniziato con due bruschette classiche: pane artigianale, ottimi pomodorini, ricco condimento. Abbiamo poi voluto rischiare optando per i Pizzoccheri Rivisitati, una versione vegana ed eretica del classico piatto valtellinese, realizzato senza formaggi e

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ciononostante incredibilmente ben riuscito. Per chi vuole la pizza, è disponibile in due versioni, normalepiccola: tonda, ben cotta e realizzata con farina integrale e condimenti di primissima qualità. Il menu prevede anche zuppe, riso biologico, polpettine di ceci così come piatti robusti e decisamente non vegan come il cinghiale con la polenta. Selezione di birre interessante e fuori dagli schemi, notevole anche la carta dei vini biologici. Prezzi equilibrati e personale gentilissimo: da provare.

 

La comunità cinese a Milano è una delle più antiche e vivaci della città. Oggi è un raffinato graphic novel a raccontarci una parte della sua storia attraverso la personale epopea del signor Wu Li Shan nel libro a fumetti Primavere & Autunni, edito da Beccogiallo e recentemente presentato presso la sede del Touring Club.

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Raccontata dai disegni del nipote Matteo Demonte e dalla narrazione di Ciaj Rocchi, la vicenda prende le mosse nel 1931, da un piccolo villaggio tra le montagne della Cina orientale. Da qui il signor Wu Li Shan parte per cercare fortuna sotto la Madonnina, approdando in un borgo appena fuori le antiche mura noto come Burg di scigulatt, ovvero degli ortolani. È da qui, in via Canonica 72, che inizia l’avventura di un venditore di cravatte a due lire che emerge come imprenditore, sposa la sarta italiana Giulia e diventa uno dei primi esempi di integrazione in Italia. Quattro decenni, dagli anni Trenta, quando i cinesi a Milano non erano più di cento – tutti uomini – agli anni Settanta, per illustrare una parabola sconosciuta ai più: “Ai tempi i cinesi erano molto benvoluti nel quartiere”, ha dichiarato l’autore Matteo Demonte. “Mio nonno era sempre ben vestito,

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nel tempo ha aperto un laboratorio sartoriale che acquistava i materiali da italiani e aveva persino operaie italiane”. Una storia vera, illustrata con grande raffinatezza, che ci racconta un pezzo di Milano perduta e che ci aiuta a capire meglio il presente. Primavere & Autunni, Testi e disegni di Ciaj Rocchi e Matteo Demonte, Edizioni Beccogiallo, 18,00 €.

El Barbapedana di Corso Colombo 7, zona Porta Genova, è il luogo ideale dove fermarsi in una nebbiosa sera milanese: un ambiente raccolto – pochi coperti, solo 36: meglio prenotare per tempo – e foderato di legno, come uno chalet svizzero o una vecchia trattoria. Il personale è gentilissimo e

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l’atmosfera intima e accogliente. La cucina propone prevalentemente piatti della tradizione lombarda, con varianti che dipendono dalla stagione e incursioni nelle gastronomie di altre regioni. Piatti robusti come risotto alla milanese o con l’ossobuco, risotto con salsiccia e bonarda, cotoletta alla milanese, stinco di maiale alla birra, cassoeula… e poi deliziosi sformatini di verdura per i palati meno inclini alla carne, cestino di grana con tagliatelle, zucchine e zafferano, degustazione di formaggi con confetture… Il menù cambia ogni mese circa, alternando anche la degustazione di salumi e formaggi. Abbiamo provato diversi piatti, sia la carne sia i primi, con generale soddisfazione e una personale preferenza per i piatti a base di verdure (in controtendenza, immagino). Buona anche la piovra con le patate, sebbene

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non di stretta osservanza meneghina: El Barbapedana spazia lungo tutto lo Stivale e sperimenta con grazia, senza pretenziosità. I prezzi sono nella media, generalmente intorno ai 30 euro escluse le bevande. Aperto anche a pranzo dalle 12.30 alle 14.30, e, per cena, dalle 19.30 alle 23.00. Consigliato? Sì.

 

In via Lecco 1, a pochi passi da piazza Oberdan, c’è il Frank, locale dal design raffinato e l’atmosfera internazionale. Felice connubio tra bistrot in cui degustare crudités e coquillage, luogo chic per una pausa pranzo come si deve, un aperitivo elegante o una cenetta tardiva (la cucina chiude all’1 di notte), il Frank è l’ideale per una sera tra amici, possibilmente a tre: non

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grandi compagnie rumorose, niente megaschermo con le partite, anzi il locale se la tira un po’ e qualcuno potrebbe tranquillamente definirlo “fighetto”. Ci siamo stati più volte e gli aperitivi sono molto buoni: happy hour con buffet servito e vario, con la possibilità di verdure fresche in pinzimonio oltre ai consueti assaggini, cous cous, riso, fettine di pizza e focaccia, ottimi salumi e in generale tutto quello che può saziare senza appesantire all’eccesso. In poche parole: per abbuffarsi meglio andare altrove. I cocktail sono presi molto sul serio e fatti a regola d’arte, con una notevole attenzione alla presentazione. Numeroso il personale e generalmente gentile, sebbene spesso il locale sia molto affollato con conseguente e meneghina frettolosità: non resta nel cuore. La clientela è eterogenea, da trenta-quarantenni

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metrosexual a personaggi più o meno esotici di ogni nazionalità. La musica, decisamente poco commerciale, è calibrata sul jazz. Fino a poco tempo fa c’era un cameriere che enumerava i cocktail a voce, ma per fortuna oggi esiste un normale menu cartaceo. Se si chiede un rum, si può sceglierne l’invecchiamento e arriva sempre accompagnato da un vassoietto con cioccolata fondente, ciliegine, arancia, una spruzzata di caffè e zucchero di canna. Un luogo ideale per ordire trame di romanzi hard boiled e conversazioni witty.

 

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