Taglio: ristorante, bistrot ed emporio

Bistrot, ristorante, emporio. Difficile un’unica definizione per Taglio, locale di tendenza che sta facendo parlare di sé. L’abbiamo provato un venerdì sera a inizio Salone del Mobile: un momento cruciale per Milano, un tempo che misura il valore di ogni esercizio proprio in virtù della sua eccezionalità. Via Vigevano, dove è situato Taglio, zona Porta Genova, è molto cambiata rispetto a pochi anni fa: una festa mobile di  nuovi locali, ristoranti, intrattenimento vario, rielaborati in spazi preesistenti o ricavati in minuscoli ambienti ristrutturati, uno più bello dell’altro.

Il TaglioTaglio fa subito venire l’acquolina in bocca, a partire dal sito. Straordinariamente bello e curato, dalla grafica ammaliante e ben dosata, misteriosa e chic come un accessorio di Fornasetti. Viene da chiedersi: ma cos’è?

Ci puoi fare aperitivi, cene, brunch, o anche solo berti un caffè. E naturalmente fare acquisti, perché sugli scaffali in legno a vista sono esposti tantissimi prodotti di eccellenza tra pasta, cioccolato, prodotti regionali e bevande. C’è il bancone dove comprare affettati e formaggi; il bar con mattoni a vista dove sorbire un aperitivo.

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Ma torniamo al punto: il cibo servito in tavola. Cena informale ma attenta ai dettagli, cucina eclettica, varia, forse non amplissima come scelta à la carte. Taglio è una leggenda delle Uova alla Benedict con salmone Red King, forte anche negli hamburger (con il pane non chiuso a panozzo, con buona pace degli intransigenti) e nei salumi. In effetti il piatto di bresaola scelto dalla sottoscritta come antipasto è semplicemente sublime: punta d’anca di texture meravigliosa, un mix frastornante di morbidezza e sapidità.

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Poi tutti osiamo. La sottoscritta, forse, esagera in dabbenaggine. Come quegli italiani che vogliono mangiare pasta al sugo in Germania. O come quegli italiani che vorrebbero esibire una leggerezza nipponica senza essere giapponesi. Perché se uno sceglie una tempura, dovrebbe trovarsi come minimo in un ristorante giapponese. O cino-mongolo; o fusion. No, qui siamo al Taglio e la tempura, ancorché golosissima, bisogna ammetterlo, è troppo – ebbene sì – pesante. Se c’è una cosa che ci insegnano i giapponesi (e di cose ne avrebbero) è che la tempura è fatta con pastella con acqua minerale ghiacciata. In questo caso non c’è dubbio che, se non un uovo, qualcos’altro di simile sia di scena: per quanto saporita, la tempura è poco digeribile e richiede uno stomaco da lanzichenecco. Proposta come antipasto, rischia di non preludere a un seguito.

I miei commensali vanno di cotoletta sbagliata: stesso discorso di pastella. Non siamo qui per stroncare, nonostante la vituperata professione – le stroncature sono prerogativa di persone insoddisfatte con bisogno ludico-coatto di umiliare il prossimo. Ma ho la sensazione che il problema pastella non riguardi unicamente la tempura. L’unico vero rimpianto infatti è l’eccessiva pesantezza del piatto. Non che non sia buono: ma da qualche parte si esagera.

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Il dessert? Crema catalana: molto buona, aromatizzata al mandarino. Io ordino uno Zacapa che mi arriva dopo circa mezz’ora – nonostante la cittadinanza, la mia milanesità in fatto di pretendere il dovuto è minima. Responso finale. Posto estremamente curato, piacevole e bello – indimenticabile la bresaola – e, sospetto, l’intero vassoio di salumi, 17 euro. C’è molta voglia di dimostrare, molto eclettismo – e un filo di pretenziosità. Del resto qualcuno scrive che il Taglio sia radical-chic: possibile, ma non essenziale. Attendiamo i prossimi tempi, perché il locale funziona, piace, ed è sicuramente riuscito.

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